venerdì 25 gennaio 2008

PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI AGLI UTILI AZIENDALI: IL GRANDE INGANNO DEL FASCIMO, DEI PADRONI E DEI SUOI PROPAGANDISTI!

di Domenico Savio*

Su “Il Golfo”, quotidiano locale delle isole di Ischia e Procida nel golfo partenopeo, il 22 giugno 2008 è stato pubblicato un editoriale del suo direttore Domenico Di Meglio dal titolo “Partecipazione dei lavoratori”, naturalmente agli utili aziendali. Non è la prima volta che il Direttore, sostenitore ed esaltatore delle gesta del regime fascista e di Benito Mussolini e del fascismo sociale della repubblichetta di Salò, affronta e si intrattiene su questo tema come, a suo dire, strumento di elevazione sociale dei lavoratori. Naturalmente si tratta di un gigantesco inganno dei lavoratori e di un furbesco tentativo, da parte padronale, di sottoporli a maggiore e più pressante sfruttamento, di neutralizzarne la contrapposizione di classe attraverso l’illusione di diventare anch’essi padroni e di “godere dei profitti dello sfruttamento del proprio lavoro”. Chiaramente Domenico Di Meglio parla in nome e per conto di quei prestatori d’opera che sono privi della propria coscienza di classe politica e sociale in quanto lavoratori sfruttati, maltrattati e schiavizzati da millenni dalla razza padrona, che non hanno coscienza del proprio stato sociale di derubati, seppur ciò avviene in base alla “legalità” del regime di sfruttamento capitalistico del lavoro altrui, e che nella loro ignoranza di classe s’illudono di poter diventare anch’essi ricchi come i loro padroni – è superfluo affermare che senza l’esistenza degli sfruttati e dei poveri non possono esistere neppure i ricchi, i quali sono la causa diretta, vergognosa e disumana della povertà altrui - e che di fatto si tratta di sfruttati che per incapacità o ignoranza della storia e del sapere umano ignorano ancora la loro posizione di sfruttati e il loro compito storico di dover liberare l’umanità dalla tragedia dello sfruttamento padronale, dalla miseria, dall’abbrutimento e dalla schiavitù sociale.
Ad esempio, nel settore del turismo i lavoratori declassati, cioè senza coscienza, principi e obiettivi di classe, sono tutti quegli sfruttati e maltrattati che prima si lamentano delle angherie subite sul posto di lavoro da parte di certi albergatori e poi, per ignoranza di classe, servilismo e schiavitù morale, oltre che materiale, li votano e persino li eleggono a loro amministratori pubblici, dimodoché questi poveri sventurati vengono dagli stessi padroni sfruttati nelle loro aziende e pure nella gestione della cosa pubblica. In ogni modo i lavoratori che hanno una coscienza e che sono animati da principi umani e civili si vergognerebbero e si indignerebbero al solo pensare di poter essere un giorno essi stessi usurpatori del lavoro altrui.
L’irriducibile anticomunista e direttore Domenico Di Meglio esaltando la repubblichetta di Salò, mettendo sullo stesso piano nazisti – coi quali il suo Benito Mussolini fu alleato di ferro godendo ampiamente del loro ignobile aiuto! – e comunisti e non perdendo l’occasione per buttare fango sulla Resistenza e sull’Antifascismo, sostiene che la partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali e al divenire della loro azienda sviluppa verso l’alto il rispetto e la valorizzazione del lavoro, mentre il socialismo reale lo realizza verso il basso. Da questo assunto di Di Meglio emergono sconcertanti carenze nella conoscenza di certi avvenimenti ed anche errate affermazioni. Nessuna opinione reale e razionale può sostenere né tanto meno provare che lo “sviluppo verso l’alto” dei rapporti sociali, legati alla partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali, conduce all’abolizione della povertà, delle differenze sociali o alla conquista della posizione di ricco per l’intero genero umano. Esistono i ricchi, una esigua minoranza, solo quando vi è una moltitudine di poveri. “Lo sviluppo verso l’alto” sostenuto da Di Meglio, nel senso di prevedere maggiori guadagni e privilegi di vita per alcuni, nella società capitalistica e all’interno della logica del mercato comporta sempre e solo differenze sociali, discriminazioni e disuguaglianze generalizzate.
E’ saputo che un fascista - in quanto sostenitore del regime dittatoriale capitalistico, anche se Di Meglio personalmente e in contraddizione con la politica fascista si dichiara contro il liberismo e la globalizzazione, e della partecipazione di tutti o di una parte dei lavoratori agli utili aziendali, partecipazione che non abolisce il sistema di sfruttamento padronale del lavoro, perché tutto continua ad esistere all’interno dello stesso sistema economico e sociale di sfruttamento e di sottomissione padronale - non può pensarla diversamente, proprio per la sua cultura politica fascista, e cerca di trasmettere la sua visione della disuguaglianza reale anche agli altri favorendo, inoltre, la sopravvivenza storica dell’infame sistema di potere capitalistico. I fascisti sono tanto violentemente anticomunisti quanto più sono al servizio del capitale: questo avvenne nel ventennio nero e durante la breve, per fortuna, esperienza di Salò. Il fascismo, espressione e strumento del grande capitale, assume per principio e strategia la politica della disuguaglianza e della repressione dei più deboli, per tale ragione sono anche razzisti e collaborarono coi nazisti nella soppressione dei “diversi”. Chiariamo che il fascismo non è un sistema economico, ma è, in determinati momenti, l’espressione e lo strumento di potere del sistema economico capitalistico. Come non esistono i comunismi, ma il comunismo, così non esistono i fascismi, ma il fascismo che, purtroppo, storicamente conosciamo e Domenico Di Meglio propaganda quel fascismo!
Totalmente al contrario della dittatura economica capitalistica, è proprio il socialismo reale - che eliminando l’arricchimento padronale e, dunque, lo sfruttamento del lavoro delle masse lavoratrici, dichiarando i mezzi di produzione di proprietà di tutto il popolo, insomma eliminando il padrone sanguisuga, affidando la guida organizzativa e produttiva a tutti i lavoratori dell’azienda, piccola o grande che sia, a partire dalla nomina collettiva dei responsabili, dando a tutti la pari opportunità di guadagno e di miglioramento nella vita lavorativa e sociale, affermando il principio dell’uguaglianza materiale e della reciproca solidarietà – che realizza concretamente l’elevazione di tutti gli uomini verso una società superiore fondata, appunto, sull’uguaglianza economica e sociale di tutti componenti la società eliminando la disoccupazione, e conseguentemente la miseria, e soddisfacendo pienamente i bisogni della vita. Nel socialismo vale il principio “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro”, mentre nella società comunista si realizzerà il principio superiore della civiltà umana “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità”.
Ma vediamo perché “i lavoratori azionisti”, “l’azionariato operaio” – che, tra l’altro, viene spesso sostenuto anche, ignobilmente e ingannevolmente, dai revisionisti e traditori della coerente dottrina di classe e rivoluzionaria del marxismo-leninismo, cioè dai falsi comunisti - e la partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali è tutto un inganno e un modo maldestro per indurre coloro che sono costretti a svendere la propria forza-lavoro sull’assassino mercato capitalistico a lavorare di più, semmai con maggiori morti sul lavoro, e a produrre maggiori profitti per il padrone che detiene la quasi totalità del capitale azionario. Principalmente è opportuno chiarire anche qui che il regime politico fascista mussoliniano - ovvero la dittatura padronale, razzista, militare e guerrafondaia del ventennio nero, compreso la repubblichetta di Salò - fu politicamente generato, foraggiato e sostenuto proprio dalla razza padrona italiana con la “santa” benedizione dello Stato capitalistico del Vaticano, fu aiutato a piene mani dai potenti industriali, con la famiglia Agnelli in testa, agrari e banchieri del tempo come risposta alle lotte operaie e all’occupazione delle fabbriche del “biennio rosso” 1919-1921 e come riassunzione del potere assoluto da parte del capitale sul lavoro e sulle masse lavoratrici, che aspirano a liberarsi dalle catene del potere statale, politico e sociale capitalistico.
Insomma, era stata, rimaneva e rimane ancora oggi la via della liberazione delle masse lavoratrici dallo sfruttamento padronale la lotta di classe tra capitale e lavoro, perché si tratta di interessi sociali e di rapporti tra gli uomini contrapposti, inconciliabili e in conflitto tra loro fin quando le classi sociali non scompariranno definitivamente con l’edificazione della società comunista, o meglio con la conquista del potere politico da parte della classe lavoratrice e con la proclamazione della proprietà di tutto il popolo dei mezzi di produzione. Fin quando sopravviveranno le classi sociali i lavoratori saranno sempre schiavi dello sfruttamento e del potere politico padronale! Il fascismo, che era l’espressione e la difesa degli interessi più loschi del capitalismo e dell’imperialismo italiano, tanto da mettere fuori legge e perseguitare l’opposizione intellettuale, politica e sindacale al regime, doveva contraccambiare al capitale l’appoggio ricevuto e uno degli strumenti fu appunto – specialmente durante la breve e tragica, per il popolo italiano, esistenza della repubblichetta di Salò, quando Mussolini, oramai sconfitto su tutti i fronti, più di prima necessitava dell’appoggio politico e monetario della spregiudicata razza dei capitalisti italiani – l’approvazione della possibilità di partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali con la quale, come chiariremo meglio più avanti, si legavano i lavoratori alla sorte dell’azienda eliminando i conflitti sindacali, aumentando l’attaccamento dei dipendenti al lavoro, moltiplicando la produzione e consentendo, così, al padrone, detentore della quasi totalità del capitale azionario dell’azienda, di realizzare ricchezze diversamente insperate.
Questa illusione e inganno furono seppelliti col fascismo, ma la Costituzione repubblicana e antifascista, democratica e borghese - che non è una Costituzione socialista, ma che garantisce solo certe libertà democratiche e borghesi, che consente lo sfruttamento padronale del lavoro e ammette l’accumulo e l’accentramento della ricchezza prodotta socialmente dai lavoratori da parte dei proprietari dei mezzi di produzione, che consente la barbara dittatura capitalistica, fondata sulla “natura sociale della produzione e l’accaparramento privato della ricchezza prodotta”, e che permette un abisso di disuguaglianze sociali tra una minoranza di nababbi e una moltitudine di cittadini poveri: ciò non lo diciamo e dimostriamo solo noi comunisti, ma lo narrano quotidianamente persino le statistiche ufficiali dello Stato capitalistico e pubblicate dai mezzi di comunicazione borghesi e di regime dominante – all’art.46 ripropone e riconosce “il diritto dei lavoratori a collaborare ….. alla gestione delle aziende”. Noi sosteniamo che si tratta di collaborazionismo – tra l’altro, questo termine è ricorso molto durante la seconda guerra mondiale in Europa e si riferiva ai “lavoratori e intellettuali” collaborazionisti con gli assassini regimi nazisti e fascisti, costoro rientravano, per affari, egoismo e opportunismo, nella categoria degli infami traditori e appartenevano, e ancora oggi appartengono, alla vergogna sociale e civile della specie umana – tra gli opposti, tra entità di interessi inconciliabili ed è di straordinaria utilità per la produzione e l’accumulo dei profitti a vantaggio del maggiore azionista dell’azienda.
Tale norma collaborazionista tra capitale e lavoro e tra padrone e dipendente è rimasta accantonata fin quando in Italia sono esistiti un forte partito comunista - il PCI, quando era ancora comunista e possiamo dire sino alla fine degli anni ’50 con progressiva perdita della propria identità ideale e politica - e un potente sindacato - la Cgil, che prima del 1976, anno della svolta del compromesso, della concertazione e del collaborazionismo con i potenti affari della classe capitalistica, difendeva ancora i diritti della classe lavoratrice – e quando nella sinistra istituzionale, revisionista e opportunista sopravviveva ancora, seppure con un costante affievolimento, l’idea della prospettiva socialista. Poi sono venuti i tradimenti, i rinnegamenti, la negazione, la svendita e la demolizione completa di un glorioso passato fatto di lotte e di conquiste di classe e, ancora, sono sopraggiunti i nuovi e storicamente reiterati inganni del proletariato italiano da parte dei nuovi partiti della falsa sinistra cosiddetta comunista. Così abbiamo vissuto l’epoca tragica dei governi capitalistici di centrosinistra e oggi riviviamo il dramma di un governo di centrodestra – il dramma della precarietà del lavoro, dello sfruttamento del lavoro spinto ai massimi livelli consentiti dalla natura umana, dell’olocausto quotidiano delle morti sul lavoro, delle tasse soffocanti, della miseria sociale dilagante e della mancanza di qualsiasi prospettiva per le nuove generazioni – ed ecco che ritorna la proposta e la norma di natura fascista del collaborazionismo tra lavoro e capitale, tra sfruttatore e sfruttato.
D’altronde di natura economica capitalistica era il regime politico e istituzionale fascista e dello stesso ordine è stato quello di centrosinistra ed è l’attuale di centrodestra e della medesima cultura fascista sono quelli che ripropongono oggi il collaborazionismo tra capitale e lavoro. Possiamo affermare che il capitalismo è il fascismo e che il fascismo è il capitalismo! Il sistema economico capitalistico per sopravvivere e governare la società si avvale, sul piano del governo, dell’organizzazione dello Stato e dell’attività istituzionale, di vari regimi politici e partitici borghesi e fidati a cui, secondo le circostanze e i momenti storici affida il governo politico dei propri affari: quando ha l’esigenza di essere violento, spietato e annientatore contro la pressione rivendicativa della classe lavoratrice si affida a un governo fascista, come fu durante il ventennio mussoliniano, mentre quando lo scontro tra le due classi è meno duro allora usa governi cosiddetti democratici, che non ricorrono alla soppressione fisica ma che sono ugualmente feroci e inflessibili nel sostenere, legislativamente e militarmente, gli interessi del capitale sul lavoro. I governi mussoliniani, i successivi democristiani e quelli di centrosinistra e centrodestra di oggi hanno avuto e hanno la stessa funzione politica e istituzionale: garantire e sostenere il sistema economico capitalistico nella sua attività di sfruttamento delle masse lavoratrici. La preoccupazione dei padroni è sempre la stessa: come sfruttare al massimo la forza produttiva dei lavoratori e se vanno bene l’inganno e l’illusione della loro partecipazione, ridicola e inconsistente, agli utili e alla gestione dell’azienda perché non utilizzarli? L’importante è che il vero padrone, ovvero il maggiore azionista, continui a gonfiare a dismisura il proprio portafoglio!
Il coinvolgimento dei lavoratori nella divisione degli utili aziendali e nella gestione dell’azienda nella società capitalistica serve unicamente, ripetiamo con l’inganno e l’illusione: a indurre i lavoratori ad aumentare il ritmo della produzione, a produrre di più sino al massimo sforzo fisico, ad accettare volentieri di aumentare l’orario di lavoro e di non sottrarsi alla richiesta di lavoro straordinario, a diminuire sino a rinunciare alle pause di lavoro, a ridurre il tempo dedicato alla mensa, ad allontanare i sindacati dalla fabbrica, ad eliminare il pericolo di scioperi, a spoliticizzare i lavoratori e neutralizzarli da ogni tentazione di lotta di classe, ad allontanare il pericolo, per il padrone, della società socialista e a ridurre l’uomo a una semplice macchina produttrice di profitti, dove scompare la gioia del tempo libero, l’armonia familiare e dove “non si lavora più per vivere, ma si vive per lavorare”. Tutto questo sacrificio di vita, personale e familiare, in cambio dell’elemosina di poche centinaia di euro all’anno, perché la quasi totalità dei profitti se li succhia il padrone, o i padroni detentori quasi per intero del pacchetto azionario, e se l’azienda è quotata in borsa e le operazioni affaristiche vanno male i lavoratori azionisti rischiano di rimetterci pure l’indennità di liquidazione, mentre il padrone s’è già messa al sicuro la propria ricchezza sfruttata! Elemosina che gli sfruttati possono rivendicare e moltiplicare con la lotta di classe nell’azienda e nella società. Quelli che propongono il collaborazionismo dei lavoratori coi padroni in effetti sono culturalmente e socialmente asserviti ai potenti interessi della classe capitalistica.
Un’ultima chiosa. L’art.1 della Costituzione borghese italiana proclama testualmente: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Anche questo è un inganno per la classe lavoratrice italiana, perché lascia intendere che tutti hanno a disposizione un lavoro sicuro e per l’intera vita lavorativa, mentre tutti sanno che ciò non è vero, come realisticamente non può essere assolutamente vero nella società capitalistica, dove il lavoro non dipende dalla volontà e dai bisogni sociali delle masse lavoratrici e popolari, bensì dalla decisione arbitraria di una minoranza di sfruttatori che decide della sopravvivenza, o meglio della vita, dei lavoratori disoccupati o sottoccupati solo in base alla possibilità, o meno, di realizzare e accumulare nuova ricchezza. Tale è una delle barbarie della società fondata sullo sfruttamento del lavoro altrui, dove impera la legge disumana del profitto e del mercato. Nella società capitalistica, e la storia lo insegna anche ai più duri di senno, la garanzia del lavoro per tutti non può esistere, viceversa ciò può avvenire esclusivamente nella società socialista, dove il lavoro, e non il profitto, è la locomotiva dell’economia e del suo sviluppo. Quando questa verità si impossesserà della coscienza della maggioranza della classe lavoratrice - oggigiorno, purtroppo, ancora incantata e stordita dalla propaganda borghese e religiosa interessata, propaganda che i mezzi di comunicazione e di formazione capitalistica della coscienza collettiva diffondono in abbondanza e senza tregua - allora trema padrone sfruttatore e assassino, perché la tua fine di classe sociale sarà arrivata e il tuo barbaro sfruttamento, ancora unto del sangue succhiato dalle vene dei lavoratori, troverà degna sepoltura nella fogna delle nefandezze della storia umana.
LAVORATORI D’ITALIA, DRIZZATE FINALMENTE LA SCHIENA, PERCHE’ UNA NUOVA E SUPERIORE ESISTENZA E’ POSSIBILE, BASTA CHE VOI LA VOGLIATE E PER ESSA V’INCAMMINIATE LUNGO LA VIA MAESTRA CHE CONDUCE PRIMA ALLA RIVOLUZIONE E ALLA SOCIETA’ SOCIALISTA E POI AL COMUNISMO!

Forio (Napoli), 22 luglio 2008.

* Segretario generale del P.C.I.M-L.